Vincenzo Silvio di Capoliveri
si trovava a Roma come studente della facoltà di Medicina
quando nel 1829, all’età dì 18 anni, fu arrestato insieme con altri
‘carbonari’ e condannato
a 10 anni di reclusione.
Dopo 22 mesi trascorsi nel carcere di
Civitavecchia,
fu graziato da un indulto del Pontefice.
Laureatosi in medicina nel 1833 all’Università di Pisa, nel 1837
ebbe la condotta di
Capoliveri che mantenne fino al 1851. I documenti d’archivio non
parlano dell’attività
politica del Silvio nel periodo che intercorre tra la sua
liberazione dal carcere e il
1848: ma è certo che egli si portò sempre dietro, come un marchio
d’infamia, quei 22
mesi trascorsi nelle carceri pontificie. La segnalazione della
polizia granducale così lo
descrivevano: «Appartenne alla Giovane Italia – leggiamo in una nota
dell’Archivio di
stato di Livorno – e pochi furono come lui sottoposti ad un’assidua,
rigorosa, umiliante
sorveglianza da parte della polizia». La sua affiliazione alla
Carboneria non fu documentata;
sappiamo solo che il Governatore dell’Elba s’interessò affinché il
Silvio, una
volta libero, potesse recarsi a Pisa per completare gli
studi,notificando la cosa al Governatore
di quella città perché fossero: «osservati i suoi andamenti».
Gli anni dell’insurrezione popolare, 1848-49, videro il medico
capoliverese in primissimo
piano nella vita politica del paese, il che gli causò l’inimicizia
d’autorevoli personaggi,
ligi al governo granducale.
Dopo la restaurazione alcuni concittadini rivolsero accuse contro di
lui costringendolo
ad abbandonare il paese.
Ebbero così inizio le denunce che accompagnarono il medico dovunque
egli tentasse dì concorrere ad una condotta medica vacante nella sua
isola. In una lettera del Governatore
dell’Elba al Prefetto di Grosseto, che nel dicembre del ‘52
sollecitava informazioni
in merito al medico capoliverese, si legge: «Soggiungo che il dottor
Silvio per incapacità
fu licenziato dalla condotta medico-chirurgica che esercitava in
Capoliveri
sua patria, e che la parte che prendeva nei passati rivolgimenti
politici e nei movimenti
popolari e la sua condotta destavano l’attenzione dell’autorità
governativa, e qualche
volta ha eccitato le competenze del potere ordinario». II 13 maggio
1859, dopo la caduta
della dinastia dei Lorena, il Governatore di Livorno trasmetteva a
quello dell’Elba
un’istanza firmata da alcuni abitanti di Capoliveri intesa a
«riproporre a quella condotta
medico-chirurgica il dottor Vincenzo Silvio». Il Governatore
dell’Elba era pertanto
invitato a «non pretermettere l’uso dei provvedimenti repressivi che
le veglianti leggi accordavano alle autorità governative per
conservare ovunque inalterata la pubblica
tranquillità».
Già nel mese di febbraio dello stesso anno, il delegato di Governo
aveva sottoposto a
‘severo monito’ il dott. Vincenzo Silvio, Andrea Silvio, Agostino
Bartolini, Tobia ed
Eliseo Signorini, Giuseppe Pagni, Pasquale Messina e Antonio
Palmieri, tutti di Capoliveri,
per ‘brighe e mene dirette a coartare la libertà di voto dei
componenti di quella
civica magistratura’.
Analoga notifica era trasmessa al Governatore di Siena, nel caso che
il Silvio si fosse colà
recato.
Su di lui si leggono informazioni palesemente improntate a tono di
calunnia e di menzogna,
e diametralmente opposte a quelle che lo stesso Governatore aveva
trasmesso
qualche anno prima, in seguito ad analoga richiesta, al Governatore
di Massa Marittima:
«6 agosto 1852, Al Governatore di Massa Marittima. Il dott. Vincenzo
Silvio di Capoliveri
era medico-chirurgo condotto nel proprio paese, ove per lo
imperversare dei
partiti, soliti dividere le famiglie, nei piccoli paesi, non poté
ulteriormente rimanere,
dové abbandonare la condotta e cercare di trovare altrove
collocamento, poiché comunque
possegga qualcosa in Capoliveri, non ha tanto che basti onde vivere.
Rimasta
vacante la condotta di Sant’Ilario in Campo, in comunità di
Marciana, quel municipio
affidava al dott. Silvio il provvisorio disimpegno dal servizio
medico in quel paese e da
quello che consta a questo Governo, durante il suo interinato, il
dott. Silvio non ha offerto
occasione a rimproveri o reclami, lo che ammesso fa un riscontro
della sua capacità
oltre la prova più convincente che ha da emergere dai diplomi,
matricole e attestati
di cui egli deve essere provveduto. Del resto, quanto a moralità e
prescindendo dalle
aberrazioni politiche nelle quali tanti e tanti si trovarono
inviluppati nei tempi decorsi
dell’anarchia che conturbava la Toscana, io non avrei riscontri da
ritenere che la condotta del dott. Silvio fosse macchiata da fatti
tanto gravi da autorizzare a ritenerlo affatto
demoralizzato».
Il dott. Silvio era sospetto alla polizia per i suoi ideali
politici; meno comprensibile appare
che egli fosse ancora oggetto di così forte attenzione da parte
delle autorità governative
anche durante il governo Provvisorio, quando già la Toscana aspirava
all’annessione
al Piemonte e quindi all’Italia e i tempi del governo granducale
volgevano ormai
al termine.
Da un successivo rapporto del 19 giugno 1859, tutti gli
individui già nominati
furono di nuovo diffidati dalla polizia: «per contegno turbolento e
irregolare con
minaccia di pubblica dimostrazione diretta a far sostituire nella
condotta medica di
quel paese all’attuale condotto, dott. F*., il dott. Vincenzo
Silvio, e ciò in onta a precedenti
promesse fatte a quella delegazione».
Come si vede, il tono dei rapporti di polizia non erano cambiati,
sembra quasi non accaduto
il 27 aprile, data di eccezionale importanza per la vita politica
del paese e dell’Elba,
quando dopo il voto del marzo del 1860, fu sancita l’Unificazione
della Toscana al
Regno d’Italia.
La “pacifica rivoluzione” in realtà aveva lasciata in gran parte
inalterata negli uffici governativi
tutta l’impalcatura burocratico-poliziesca vigente sotto la dinastia
dei Lorena.
Visti inutili, anzi controproducenti, i tentativi di ottenere la
condotta mediante pubbliche
richieste, il Silvio rivolse al Governatore dell’Elba un lungo
esposto in cui riassumeva
le vicende della sua vita travagliata. L’esposto insisteva non tanto
sui meriti che
egli poteva addurre, quanto sulla sua ‘tenace fedeltà all’idea della
patria libera e unita,
rimasta sempre immutata ad onta delle persecuzioni subite’.
Degna quindi di essere ricordata per la sua integrità morale è la
figura di questo patriota
elbano che dovette allontanarsi dal suo paese natale affrontando
malattie e disagi familiari
piuttosto che rinnegare il suo passato patriottico, anche quando la
mutata situazione
politica avrebbe potuto farlo aspirare legittimamente ad una
sistemazione che lo ripagasse dalle amarezze e dalle ingiustizie
sofferte. Con una coerenza indomabile si
dichiarò disposto ad affrontare ‘ulteriori sevizie’ piuttosto che
modificare il suo atteggiamento
e il suo credo, fedele ai suoi ‘principi di nazionalità’.
Il nostro medico ottenne la condotta in Maremma; fu prima a Manciano,
quindi a Castiglion
della Pescaia, dove gli «pervenivano da Capoliveri replicate lettere
che lo invitavano
a concorrere alla condotta di Capoliveri, rimasta nuovamente
vacante». I suoi
implacabili nemici furono in grado di impedirgli di partecipare al
concorso esigendo
che i concorrenti: « oltre i soliti recapiti dovessero produrre
due certificati, uno di
moralità, l’altro di sana politica, ritenendo ch’egli non potrebbe
ottenere quest’ultimo
per aver in Roma riportato quella condanna».
Sfumata la possibilità di avere la condotta medica a Capoliveri,
«malconcio nella salute
per la lunga dimora in Maremma», tornò ugualmente al paese natale
aderendo alle
preghiere dei parenti e dei paesani che in 112 capifamiglia si
tassarono volontariamente
per essere assistiti da lui.
Ripresero allora le lotte personali per metterlo in cattiva luce
presso il Governo, accusandolo
di aver apposto lui stesso la maggior parte delle firme. Si era
ormai alla vigilia
della II guerra di indipendenza e il Silvio sperò di poter prestare
la sua opera come chirurgo
nel servizio sanitario dell’armata di Lombardia, ma rimase ancora
una volta deluso,
poiché furono chiamati altri che erano dopo di lui nella riserva.
Svanita anche la possibilità di ottenere un posto all’isola di
Gorgona, solo dopo l’Unificazione
ebbe la nomina di medico militare e tale rimase fino al 1871.
Trascorse gli ultimi anni della sua vita a Sant’Ilario, dove morì il
9 maggio 1873.
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