Curiosità su Capoliveri

Personaggi che hanno contribuito alla storia di Capoliveri

   
   
   

Nicola Quintavalle

Nasce a Capoliveri (LI) nel 1865, barbiere. Come ricorda nel necrologio Riccardo Sacconi, Quintavalle "fin da giovinetto abbracciò le idee anarchiche". Appassionato lettore, autodidatta, frequenta solo le scuole elementari. Amico di Pietro Gori e famoso perchè usa contemporaneamente due rasoi per fare la barba.
Imbarcatosi su una nave mercantile alla fine degli anni Ottanta, la nave affonda, durante un fortunale, davanti alle coste americane. All'epoca della reazione crispina
Quintavalle si trova a Paterson (USA) dove lavora presso una barberia. Nella vivace comunità libertaria italiana conosce Giuseppe Ciancabilla e Gaetano Bresci. Aderisce al circolo libertario di West Hoboken e collabora al periodico «L'Aurora».

Rientra in Italia, insieme a Gaetano Bresci, sullo stesso piroscafo, e non è escluso che abbia in qualche maniera partecipato all'ideazione dell'attentato a Umberto I. Tornato a Capoliveri viene arrestato dai carabinieri la sera del 30 luglio 1900 con l'accusa di complicità nell'attentato al re e durante il trasferimento è oggetto anche di un tentativo di linciaggio da parte di un folto gruppo di persone di fede monarchica. È trattenuto in carcere per oltre un anno e poi prosciolto dall'inchiesta.

Il 28 agosto 1901 torna in libertà e continua a mantenersi fedele ai propri principi e per questo è sottoposto a una continua vigilanza da parte delle autorità. Dopo l'ascesa al potere del fascismo continua a risiedere nel paese natale senza apparentemente occuparsi più di politica.

Nel marzo del 1942 a causa dell'età avanzata le autorità lo radiano dallo schedario dei sovversivi. Caduto il fascismo torna a sostenere l'attività del movimento libertario.

Muore a Capoliveri il 3 giugno 1947. Al suo funerale, seguito da una larga partecipazione popolare, presenziano i rappresentanti del gruppo anarchico "M. Angiolillo", dell'Unione donne italiane, delle sezioni del Partito d'azione, del Partito comunista italiano, del Partito socialista italiano e del Partito repubblicano italiano di Capoliveri, Rio Marina, Portoferraio, Porto Longone (oggi Porto Azzurro).

L'Attentato a Umberto I° e le conseguenze per Quintavalletavalle

La sera di domenica 29 luglio 1900 Umberto I Re d'Italia era l'ospite d'onore di un concorso ginnico a Monza.

Al termine di esso, alle 22,30, salì sulla carrozza per far ritorno a casa. Mentre il re salutava la folla, da appena tre metri di distanza, l'anarchico pratese Gaetano Bresci fece partire tre colpi di rivoltella Harrington & Richardson, che aveva acquistato a Paterson. Andarono tutti a segno: il sovrano, inizialmente soccorso dal generale Avogadro di Quinto, morì poco dopo.

I vicini alla scena si avventarono addosso all'omicida, e solo l'intervento dei carabinieri impedì che fosse linciato.

Tra i perseguitati finì il capoliverese Nicola Quintavalle, fermato nelle quarantott'ore successive all'attentato.

In seguito alla perquisizione della sua abitazione di Capoliveri, tra il 31 luglio e il 1° agosto, Nicola fu trovato in possesso di un carteggio epistolare con l'amico Gaetano, giudicato compromettente.

A Capoliveri il ricordo di Umberto I fu affidato a Liberale Garbaglia, che arringò a 800 persone.

Inoltre furono operate in paese una serie di perquisizioni nei confronti di alcuni forestieri “in sospetto di anarchismo”, tutte terminate con esito negativo.

Veniamo ora alle drammatiche giornate di Quintavalle.

Dopo l'arresto e la perquisizione in casa, Nicola fu sottoposto a un primo, pesante interrogatorio nella caserma dei carabinieri di Capoliveri.

La lettera scritta all'amico Gaetano Bresci non dette nessun risultato  ai fini dell'indagine.

Prendiamo spunto sulla lettera  dà Arrigo Petacco, nel suo “L'anarchico che venne dall'America” (Milano, 2000, pag. 78). La prima parte non dice molto di interessante, se non comunicare l'emozione di Nicola per aver ritrovato al paese natio, dopo una decennale assenza, la vecchia madre, i fratelli e molti amici. È scritta in italiano corretto e molto scorrevole.
La seconda parte invece presenta alcuni passaggi illeggibili, frasi di senso confuso in un italiano zoppicante. Tra cui una frase che viene considerata criptica, ma che potrebbe essere un'errata trascrizione che ne falsa il senso originario. Questa parte della lettera fu interpretata dagli inquirenti come messaggi in codice legati al delitto. Quando furono interrogati i diretti interessati, comprensibilmente Bresci non seppe dare spiegazioni a frasi così insensate, mentre Quintavalle affermò che si riferivano a questioni di donne.

Agli interrogatori prima e al processo poi, l'anarchico capoliverese, accusato di complicità nel regicidio, si dichiarò estraneo al delitto, pur riconoscendo l'amicizia con Bresci.

La tesi accusatoria invece si fondava sulla convinzione che l'attentatore avesse un complice, e questi non potesse che essere Quintavalle, imputandogli a prova la suddetta missiva, a cui Nicola non aveva saputo dare una spiegazione convincente.

Il capoliverese Nicola Quintavalle era magari un idealista anarchico esaltato, ma essenzialmente un brav'uomo.
Un innocente rimasto coinvolto dai fatti. O il secondo uomo di Bresci?

Non lo sapremo mai.

Dicerie di popolo e di paese

Niccolò Quintavalle cosi lo chiamavano gli amici e paesani.   Secondo la leggenda popolare era  l'uomo  che  partecipò all'attentato di  Umberto I° Re d'Italia  con compiti ben precisi portare a termine l'attentato qualora l'amico Gaetano Bresci non vi fosse riuscito.