Sono entrati in tre nel
capanno, disertori della guarnigione dell’isola d’Elba. Quando è uscita, la ragazza sanguinava da un labbro e aveva la veste
lacera.
“Non mi hanno fatto niente”, ha detto alla nonna
marsigliese.
Avevano solo fame. Se l’hanno malmenata era perché volevano sapere
se nascondeva dei soldi.
Nemmeno un paio di giorni dopo, sono stati
impiccati, ma Ortensia vuole credere alla nipote.
Papà Vantini, proprietario di un podere al Poggetto, la chiama
Enrichetta, ma per tutti in paese è Vantina. Vantine, come lo
pronuncia Marcel Lefebvre, il bel capitano di artiglieria dell’Armèe.
Perché sull’Elba, due anni dopo, nel 1814, è sbarcato l’Imperatore
Napoleone, sconfitto ed esiliato dalle potenze europee.
È così la leggenda elbana
della figlia di Mastro Vantini e della protesta delle tasse di
Capoliveri diventa il romanzo “Vantina”, Sedici anni al momento del
fattaccio.
Occhi neri scintillanti, labbra rosse, non c’era uomo che non la
guardasse al mercato, dove vendeva le ceste di vimini che
intrecciava con le sue mani.
Ma anche se non l’hanno toccata, quei tre l’hanno avvelenata, pensa
nonna Ortensia.
Un veleno che agisce soprattutto sugli altri, sulla gente. Per loro
è stata violata. È segnata.
“povera Vantina”, sono subentrati i sorrisini, gli sguardi complici
di uomini e donne.
Sulla giovane l’effetto è pesante. Erano in guerra con lei? Sarebbe
stata una guerriera.
Se il mondo non la voleva, lei non avrebbe voluto il mondo. È
cambiata, si è fatta ancora più forte. Il cuore si è indurito.
Il parroco manda al Poggetto un giovane pescatore, a chiederla in
moglie. Puzza di pesce, balbetta, però ha due barche, una bella
casa, della buona terra e lavora sodo. Una proposta chiara: sono
fatti l’uno per l’altra, nessuna vuole lui, nessuno vuole lei.
Vantina prende tempo per rispondere.
Nel frattempo, l’uomo che ha dominato il continente è ristretto
all’Elba. Il sovrano d’Europa, ora è solo il re dell’isola.
Le sue truppe riportano l’ordine, ma circola una brutta notizia:
Bonaparte vuole raddoppiare le imposte fondiarie. Capoliveri non ci
sta.
Esplode il malcontento e sul colle vicino viene schierata una
batteria di cannoni da 12 libbre, puntati contro le case. Bisogna
trattare con l’imperatore, chiedergli di togliere le tasse o almeno
ridurle di due terzi.
Occorre una persona con quattro requisiti: che sia estranea alla
politica, parli in francese, abbia coraggio e riesca a interessare
Sua Maestà.
È Vantina il candidato perfetto per rappresentare la comunità. Ha
tutte le doti: la nonna le ha insegnato la sua lingua, è
“selvaggia”, è donna, come tale non desta sospetti di trame e si sa
che Napoleone apprezza le belle ragazze.
Così sarà. Trasportata in carrozza a Portoferraio, un giorno di
anticamera, un incontro casuale, una notte nel Palazzo con l’Empereur,
tutt’altro che quel basso nanerottolo calvo che si aspettava.
Non alto, ma magnetico e con due occhi penetranti, che scavano
dentro l’interlocutore. Alla fine, i cannoni vanno via dall’altura e
il popolo crede di poter festeggiare la scampata esazione
aggiuntiva.
Ma le tasse, in realtà, non se ne vanno affatto. Le imposte non sono
messe a capriccio, dice Bonaparte: servono per fare opere pubbliche,
scuole per i bambini, strade e porti per gli elbani, che potranno
muoversi meglio, commerciare e diventare più ricchi.
E il sovrano assegna anche un marito alla giovane, proprio il
capitano Lefebvre.
Vantina deve scegliere.
Il suo sogno sarebbe andare a Marsiglia.
Marcel però le promette Parigi, dove una bella moglie aiuta a fare
carriera.
Sebastiano le garantisce una vita tranquilla all’Elba, lui andrà per
mare lei intreccerà ceste per il pesce e accudirà i figli.
Farà una scelta, ma nel suo cuore resterà una voce decisa, uno
sguardo penetrante, l’amore di una notte che resterà il ricordo di
tutta una vita.
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